Viviamo in società sempre più violente? Sicurezza e insicurezza sociale: percezione e realtà

Mi chiamo Marzio Barbagli, sono un Professore Emerito di Sociologia dell'Università di Bologna e ho fatto ricerca su vari temi e anche su quello del quale ci occupiamo stasera.

Il titolo della mia lezione è: “Viviamo in una società sempre più violenta? Percezione e realtà”. Come capite subito dal titolo, la mia relazione riguarda due aspetti diversi: uno è la violazione delle norme del Codice Penale, quella che chiamiamo “criminalità”, e più in generale “devianza”; e l'altro è invece, l'idea che noi ci facciamo, in particolare se noi, gli abitanti di un determinato paese, di una determinata città, abbiamo paura di quello che avviene, abbiamo paura di uscire di sera di casa e via di questo passo, quindi realtà (chiamiamola così) e percezione.

Dobbiamo partire, però, innanzitutto da una definizione di “devianza” che è un concetto più ampio di quello di “criminalità”: definiamo “devianza” ogni atto o comportamento, anche se solo verbale, di una persona o di un gruppo, che viola le norme di una collettività e che di conseguenza va incontro a qualche forma di sanzione. La devianza, questo è un punto importante, non è una proprietà di certi atti o comportamenti, ma è una qualità che deriva dalle risposte, dalle definizioni e dai significati attribuiti a questi, dei membri di una collettività, quindi questo la definizione classica di devianza.

La criminalità e la violenza, sono una forma di devianza, ma la cosa importante è appunto, come rilevavo leggendo questa definizione, che la devianza non è proprietà di un atto, ma è una qualità che deriva dalle risposte che da la società a questo atto. Per fare un esempio chiaro: ci sono dei comportamenti che vengono considerati devianti, sono stati considerati devianti in un determinato periodo storico e non lo sono più ora, e viceversa, è importante da questo punto di vista un'altra definizione di Durckheim, egli è stato uno dei padri fondatori delle Scienze Sociali, è vissuto tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 e si è occupato anche di devianza, Durckheim ha scritto: “Non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché urta la coscienza comune”. Sembra un gioco di parole ma non lo è, non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo. 

Qui Blaise Pascal, che è un filosofo che è vissuto molto tempo prima di Durckheim, ci aiuta a capire che cosa si intende con questa concezione che è stata chiamata anche concezione relativistica della devianza: “Nulla si vede di giusto o di ingiusto - scriveva appunto alla metà del XVII secolo Blaise Pascal - che non muti qualità col mutar del clima. Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza; un meridiano decide della verità; nel giro di pochi anni, le leggi fondamentali cambiano: il furto, l'incesto, l'uccisione dei padri o dei figli, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuali”.

Allora, credo che la cosa migliore sia fare un esempio su cui ritornerò nel corso di questa lezione, e che riguarda un comportamento che a lungo, per secoli è stato considerato deviante, nel senso che è stato condannato, per noi è difficile oggi capirlo, ma è stato condannato: e questo atto è il suicidio. E' naturalmente una forma di violenza, ma è una forma di violenza contro se stessi. 

Oggi, noi proviamo compassione nei confronti delle persone che si tolgono la vita, cerchiamo di evitare di aiutarli a commettere questi atti ma non li condanniamo, è vero che esiste ancora un giudizio morale in alcuni strati della popolazione negativo nei confronti del suicidio, ma quello che voglio dire è che, un tempo, il suicidio era una grave violazione delle norme sociali, e si può dire che era il più grave dei peccati e dei delitti, cioè la Chiesa Cattolica considerava il suicidio più grave dell'omicidio e le persone, cosa per noi difficile da capire, per secoli, che si toglievano la vita, venivano portate, naturalmente non loro che erano morte, ma i loro cadaveri, in un'aula di un tribunale e venivano condannate, e le loro famiglie subivano delle sanzioni molto gravi.

Quindi, il suicidio è un esempio chiaro del fatto che quello che conta non è tanto l'atto, ma uno stesso atto cinque secoli fa veniva considerato in maniera del tutto diverso da oggi, e questo si può dire per molti altri atti, anche se, da quello che sappiamo, ci sono stati atti violenti o atti comunque che riguardano determinati furti, che sono stati condannati in tutte le società che noi conosciamo.

Quando noi ci occupiamo della devianza, quando gli studiosi, dalla metà dell'800 in poi o anche dai primi decenni dell'800 in poi, si sono occupati della devianza, hanno sempre avuto un grande problema. Il grande problema è quello della rilevazione degli atti devianti. Lasciamo stare ora, abbandoniamo il termine “deviante” e parliamo proprio di “criminalità”. Il grande problema era quello di rilevare il numero di furti, il numero di rapine, il numero di omicidi che venivano commessi in un paese. 

Perché avevano questo problema? Perché si sono resi subito conto che c'era un numero oscuro, la distinzione che questi studiosi facevano erano: i reati ufficiali, cioè quelli registrati dalla polizia e dalla magistratura ed i reati reali, cioè quelli effettivamente compiuti. Questa differenza tra reati ufficiali e reati reali , ci porta al concetto di numero oscuro, nel senso che esiste un certo numero di reati che vengono compiuti ma che non vengono registrati, quindi che noi non sappiamo. Allora, com'è possibile analizzare i dati, le variazioni nel tempo oppure le differenze esistenti, per esempio: tra una regione e l'altra, tra un paese e l'altro, se noi non conosciamo i reati reali? Cioè, se esiste sempre un numero oscuro di reati che noi non conosciamo? Queste erano le domande che si ponevano gli studiosi.

Se noi guardiamo questo schema, vediamo che la criminalità nascosta, cioè quella che qui è rappresentata come al di sotto di questa linea, come se fosse appunto sott'acqua diciamo, quella che è indicata con un colore che tende al rosso, varia questa criminalità nascosta e quindi il numero oscuro, varia a secondo del tipo di reati. Cioè, è molto bassa o inesistente nel caso degli omicidi, noi sappiamo che abbiamo dati molto precisi sugli omicidi e questo vuol dire che criminalità reale e criminalità ufficiale nel caso di omicidio coincidono, e il numero oscuro è molto basso anche nel caso delle rapine contro le banche, è invece molto alto nel caso di aggressioni contro le donne, nel caso di violenze sessuali e nel caso di taccheggi.

Come vedete, esistono dei casi invece intermedi tra questi, per esempio: quelli delle rapine a privati o dei furti di biciclette. Ora, in questo ultimo periodo storico però, in tutti i paesi occidentali sono stati fatti grandi progressi nello studio del numero oscuro. Oggi noi conosciamo molto meglio il numero oscuro e possiamo anche fare delle analisi molto più precise sulle variazioni nel tempo e anche sulle differenze tra zone, attraverso quelle che vengono chiamate le “indagini di vittimizzazione”.

 

Questo testo è estratto dal nostro video-corso Fad HELP!, ha come scopo quello di informare e permette di approfondire tematiche legate al corso.

Estratto della lezione del dott.: Marzio BARBAGLI

Marzio Barbagli
Professore Emerito
Università di Bologna
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