Dalle minacce all’aggressione: strategie di “fronteggiamento” multifattoriale e interventi post-factum

Sono un assistente sociale specialista che si occupa da un po' di tempo anche di formazione, formazione in vari ambiti, tra i quali anche quelli della supervisione. In questo senso credo di aver potuto, in questi anni, sviluppare delle conoscenze e delle analisi, aver indagato un po' il fenomeno del “fronteggiamento” multifattoriale rispetto alle aggressioni nei confronti degli assistenti sociali, dei nostri colleghi, fenomeno purtroppo che sta dilagando in molti servizi, siamo sempre più sottoposti come categoria a questo genere di insulto da parte di utenti sempre più rabbiosi, sempre più, in qualche modo, rivendicativi rispetto a bisogni negati ma, anche rispetto a una situazione di conflitto con le istituzioni e con chi le rappresenta.

Il campo di indagine che, in qualche modo, mi ha condotto a sviluppare queste analisi, questi studi è tripartito, e lo vedremo in qualche modo, perché mi sono interessato anche molto degli interventi post factum, quindi, non solo della prevenzione del fenomeno, non solo dell'analisi del fenomeno, non solo delle cause ma, anche di come fronteggiarlo (secondo ambito); e terzo ambito importante: come intervenire in tutti quei casi nei quali un soggetto, un operatore, ha subito un'aggressione violenta da parte di un utente, e quindi in qualche modo ha sviluppato dopo uno stato di sofferenza e di sindrome post-traumatica. Inizierei da questo: dalle premesse epistemologiche del fenomeno delle aggressioni agli assistenti sociali. 

Nelle dinamiche assistente sociale-persona che sfociano in episodi di aggressione verso l'operatore, quali possono essere (questo è un po' il quesito che avevo posto all'inizio e che è stato il viatico per questo genere di analisi, di studio) i fattori che elicitano e scatenano la condotta nelle sue varie espressioni? Le nostre ricerche, pur attente, sensibili, scientifiche, finora sono state focalizzate in qualche modo su alcune direttrici di analisi che, peraltro hanno in se un sostrato epistemico assolutamente incerto e molto condizionato dalle meta-narrazioni che, noi stessi, abbiamo nel corso del tempo prodotto, nella nostra comunità professionale. Spesso, infatti, si sviluppano su dati statistici, pur utilissimi ma, a volte svincolati dalle storie lavorative, da quella stratificazione di vicende socio-affettive che si dipanano lungo le traiettorie delle nostre carriere, a volte, la nostra storia, il nostro vissuto che in qualche modo andrebbe analizzato, su quello andrebbe fatta un'attenta analisi, ricostruzione dei vari elementi che possono aver condotto l'assistente sociale all'errore tecnico (come spesso noi lo definiamo, cioè una situazione di incompletezza del proprio essere professionale).

L'ambito, quindi, di studio, in esame sono le nostre sofferenze operative, perché da quelle spesso scaturisce lo stato di frustrazione, spesso molto forte, di intolleranza che in qualche modo si riverbera in atteggiamenti aggressivi, quindi, in qualche modo all'aggressione rispondiamo con l'aggressione, ma lo vedremo in dettaglio, quindi, in qualche modo possiamo dire che l'aggressione che noi andiamo a vivere da parte dell'utente, in alcuni specifici casi di conflitto, è della stessa sostanza della nostra sofferenza e della nostra possibile aggressività. Questo, non ovviamente per, in qualche modo, colpevolizzare la categoria ma, per condurre, appunto, un'analisi assolutamente obiettiva di quelle che sono le dinamiche con i nostri utenti.

Quello strumento evocato e poco spesso agito, è la comprensione empatica. Io ritengo che questa comprensione empatica debba essere anche come la definisce Tisseron, “una empatia e estimizzante”, cioè vale a dire la capacità di comprendere, quindi comprendere l'altro, di comprendersi e farsi lasciar comprendere, questo è molto importante. A volte, noi assistenti sociali, noi operatori, noi che lavoriamo nel lavoro sociale, abbiamo una sorta di resistenza a lasciarci anche comprendere, e questo chiaramente, può creare le grandi difficoltà quando dobbiamo procedere ad un'esplorazione sempre più accurata di quali sono le vere cause di una dinamica che può condurre all'evento critico, all'evento agressogeno. Quindi, la lettura ermeneutica delle nostre storie, deve essere il fenomeno studiato, la soggettività in crisi, le apprensioni preordinate, la gamma di strategie per dare significato alle cose che si fanno, il sistema di aspettative, le percezioni che variano a seconda dei contesti e delle storie dei nostri servizi, una ricostruzione narrativa di ciò che siamo e ciò che, in qualche modo, viviamo lavorando o esercitando le nostre funzioni, in qualche modo può avere un effetto chiarificatore rispetto a questo, spesso evocato e in qualche modo anche abusato ambito di analisi dell'errore tecnico. 

Spesso e volentieri, noi ci attribuiamo delle colpe quando vi sono dei fenomeni di aggressione subita perché, riteniamo di non essere stati all'altezza, di aver in qualche modo, magari anche con piccoli comportamenti, in aspetti molecolari del nostro comportamento, suscitato nell'altro motivi di rabbia. Questo è sicuramente un ambito che va esplorato ma, forse non è l'unico e su questo io ho una personale opinione: in qualche modo dobbiamo uscire da questo errore cognitivo, da questa fissità cognitiva, a volte vi è l’errore, ma, a volte non vi è nessun errore: vi è l'imponderabile, cioè vi è una situazione in cui noi siamo immersi, pur non avendo nessuna responsabilità di quello che si sta determinando nell'azione, nella dinamica, nel rapporto di conflitto con l'utente. 

Le visuali di analisi sono pertanto diverse, e vanno considerati in un tutto unitario, vediamo di scomporle a livello meramente didattico, esplicativo. La prima è politico-sociale: le condizioni di grande deprivazione e la rabbia sociale, e la relativa equazione tra frustrazione sociale e violenza incoercibile incanalata verso i primi bersagli istituzionali. Questa, diciamo che è, la versione più diffusa, quella più acclarata, vi è un grosso problema, legato all'efficienza dei nostri servizi, a quanto noi possiamo e riusciamo, in qualche modo, a corrispondere sempre ai bisogni dei nostri utenti. 

Purtroppo la contingenza politico-sociale è particolare: in questo caso, in questa situazione storica, probabilmente le condizioni di deprivazione hanno un effetto di palla di neve che diventa valanga nei confronti dei soggetti che seguiamo, la rabbia è sempre più forte, è sempre più incoercibile, e a volte ingestibile, ma non è l'unico. Abbiamo poi, una motivazione strutturale e organizzativa: l'incapacità delle organizzazioni di comprendere, prevenire, farsene carico, un’ po per negligenza, per minimizzazione, o molto peggio, per negazione conscia o inconsapevole, comunque nel totale disinteresse. 

Qui, c'è una venatura di polemica, chiaramente anche in questo caso, ho voluto calcare la mano nella descrizione di questo fenomeno, ma per renderlo più visibile, per fare in modo che noi ne prendiamo coscienza, noi tutti in questo momento, in questo dialogo che c'è tra me e voi, probabilmente questo tipo di stimolo può aprire scenari di riflessione, in realtà avviene anche questo, le organizzazioni, spesso e volentieri, disconoscono che c'è un problema di gestione di un tipo di utenza particolarmente rivendicativo, polemico, o palesemente aggressivo.

 

Questo testo è estratto dal nostro video-corso Fad HELP!, ha come scopo quello di informare e permette di approfondire tematiche legate al corso.

Estratto della lezione del dott.: Domenico LOBASCIO

Domenico LOBASCIO
Assistente sociale specialista e formatore
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